• If you are citizen of an European Union member nation, you may not use this service unless you are at least 16 years old.

  • You already know Dokkio is an AI-powered assistant to organize & manage your digital files & messages. Very soon, Dokkio will support Outlook as well as One Drive. Check it out today!

View
 

Commenta:

Page history last edited by Yan Blusseau 14 years, 6 months ago

Come può essere deluso il cittadino che, dopo il suffragio, viene ancora chiamato all'azione propositiva? Pochi rappresentanti politici si possono vantare di aprire in una così ampia maniera la piattaforma del dialogo democratico.

Firenze, "fucina di innovazioni": lo fu soprattutto a partire degli inizi del '400, quando l'Uomo, per meglio intendere il proprio Mondo, decise di divenirne la prima misura. Egli stesso divenne il diaframma attraverso il quale guardare il mondo.

"L'invenzione della prospettiva nella Firenze del Rinascimento, ha avuto conseguenze che vanno al di là del semplice ambito della storia dell'arte".  In qualità di "forma realistica" la prospettiva, lungi dall'essere, come lo intendeva Panofsky, una "forma simbolica", è prima di tutto "commensuratio", misura. Con la prospettiva, si tratta di costruire un mondo commensurabile rispetto all'uomo. Mentre Brunelleschi teorizzava la prospettiva o costruiva  orologi meccanici, proseguiva lo stesso scopo: rendere all'uomo l'infinito a portata di mano.

Misuriamo la Firenze che ci circonda, misuriamone i possibili: addomestichiamo l'infinito, e traduciamolo a nostra misura: è questo il miglior modo per non porsi limiti.

Paradossalmente, Firenze è schiava del peso delle pietre, le stesse pietre che un tempo furono manifestazione della sua libertà creativa. Non a caso il gruppo di giovani architetti fiorentini citato nel documento abolì la cupola di Santa Maria del Fiore in un’installazione fotografica. Fu forse un modo di sognare una Firenze più libera e più leggera. Ci sembra che la leggerezza sia una delle fondamentali condizioni della contemporaneità, alla quale Firenze si sottrae sempre di più. La pietra dunque pare essere una barriera opaca che impedisce lo sguardo in avanti.

"Le politiche culturali in senso stretto non bastano". Come può un giovane fiorentino credere nel suo futuro in una città nella quale il peso della pietra impedisce il suo volo? Come può concentrarsi sulle sue facoltà, tradurle in spirito creativo, in appetito produttivo là dove non gli è permesso di soddisfare i bisogni essenziali di un giovane adulto come la casa (con tutti i trentenni che vivono ancora sotto il tetto famigliare) o la formazione al lavoro (con tutti coloro che non possono permettersi master e studi post-universitari a causa dei costi)? E’ essenziale un aiuto che consenta ai giovani di poter spiccare il proprio volo a Firenze, di poter oltrepassare la pietra. Solo così i giovani potranno diventare, come è lecito e auspicato, "i protagonisti della vita sociale e culturale della città".

"Intercity". L'arte della luce conosce oggi a Lione uno sviluppo straordinario. Gli scultori di luce riescono a tradurre il peso della pietra nella leggerezza dei sogni.

I legami storici che connettono le città di Lione e di Firenze sono stati numerosi e i loro scambi proficui. Una collaborazione con la Capitale des Gaules per lo sviluppo di un’arte della luce a Firenze potrebbe permettere alla città di essere anch'essa una cittadina, di pararsi – la notte, una volta alla settimana, una volta al mese, nei dì di festa – di mascherarsi, di alleggerirsi. I palazzi neutri, le statue bianche, le chiese immobili potrebbero assumere un volto nuovo. Firenze sarebbe la nuova Firenze, il suo peso insostenibile, come per magia, potrebbe sviluppare ed esplodere in nuvole di colori, di immagini. Le luci dialogano con le pietre, il presente dialoga con il passato, si appoggia sulle sue forme per riformularlo. Florence is the next Florence, Florence is light.

Yan Blusseau - atto II

Innanzitutto congratulazioni a Giuliano da Empoli: è confortante constatare come alla guida di questa nostra città ci sia un'équipe giovane, dinamica e aperta al nuovo. Ma veniamo al documento ed al futuro di Firenze nella contemporaneità culturale.

 

Rispetto al passato, quando Firenze era il motore dell'avanzamento culturale, la nostra città è oggi periferica e non penso che disponga delle risorse proprie per diventare una capitale culturale. Dobbiamo quindi attrarre i "cervelli" dall'estero, gli operatori culturali o semplicemente gli imprenditori che vogliono mettere su un'attività legata alla cultura. Questo è un problema generale del Paese, che invece di attrarre intellettuali e capitali, attira criminali o al massimo badanti ucraine (con tutto il rispetto). Ma non divaghiamo dall'agenda fiorentina. Se questo è vero, dobbiamo creare un contesto che attiri questo genere di attività. Quindi: burocrazia snella, servizi efficienti, mobilità, decoro e pulizia e, perchè no, qualche "contenitore" attraente o manifestazione di supporto. Viviamo in una delle città più belle del mondo, con un'integrazione campagna-città impareggiabile, a un'ora dal mare e dai monti. Fra un pò saremo a un'ora e mezzo dalle due principali città italiane. Non c'è ragione per non attrarre operatori culturali. Se ciò non avviene è probabilmente perchè la nostra città è vecchia, sporca, inquinata, piena di graffiti cialtroni ("jad" o "lilly ti amo") con una burocrazia ancora forse poco "user friendly". Se riuscissimo a creare un contesto favorevole, magari con iniziative di sostegno e stimolo dell'amministrazione, l'ombra del cupolone, invece di costituire una distrazione o un alibi per non far niente, sarebbe un potente richiamo del passato che incita ad operare anche nel mondo di oggi. Io abito in Santo Spirito e so che i pochissimi operatori culturali della zona si chiedono perchè rimanere in un quartiere dove la sera dopo una cert'ora ci si imbatte solo in balordi, punkabbestia, orinatori murali e quant'altro. Bisognerebbe invece riportare i cittadini normali a vivere la città anche di sera e di notte con un'offerta degna di una città europea. Lo dobbiamo alla città che ha dato il là alla moderna cultura del continente.

 

E fin qui, ritengo di aver espresso delle cosette ovvie. Un pò più interessante può essere la ricerca di una "vocazione" per Firenze. Una è ovvia, lo studio del rinascimento, e già su questa vocazione sono innestate varie attività come ad esempio la presenza di decine di Università americane. Ma dobbiamo andare oltre. Non si può venire a Firenze solo per studiare Botticelli e per vedere il Tondo Doni. Quali altre vocazioni? Ne vedo due:

 

Europa: a Firenze fu creato negli anni 70 l'Istituto Universitario Europeo (IUE). E' un'organizzazione internazionale post-graduate formata degli Stati membri dell'UE che si occupa di scienze sociali in una chiave europea. Ospita anche gli Archivi storici dell'UE, che a dicembre saranno inaugurati dal Presidente Napolitano. Questa Università fu fondata a Firenze in riconoscimento del ruolo che la città ha svolto per la nascita e sviluppo della moderna cultura europea. Quanti sanno tutto ciò? Pochi, e vagamente (anche per colpa dell'IUE..). Vogliamo provare a valorizzare questa risorsa? Già ora alcune Università americane hanno dei corsi a Firenze che (helas!) non sono incentrati sul rinascimento ma sull'Unione Europea, proprio per la presenza qui dell'IUE. Se creassimo delle sinergie Comune- Regione- IUE potremmo fare di Firenze il laboratorio della comunicazione dell'UE ai cittadini. Potremo organizzare eventi di studio sull'Europa, iniziative di diffusione della conoscenza dell'UE ai cittadini. Questo inserirebbe Firenze nel circuito delle città dove si studia l'Europa e se ne ridisegna il futuro. Nuovi studiosi verrebbero qui per questo, nuove iniziative di studio nascerebbero, altre Università straniere aprirebbero.

 

Restauro: Secondo una "curiosa" statistica UNESCO l'Italia ospita la metà del patrimonio culturale dell'umanità e Firenze la gran parte di esso. Non so come sia stato fatto questo calcolo, ma di certo esprime una "tendenza". A Firenze abbiamo delle punte di eccellenza nel restauro (Opificio) e alcune iniziative private che vivachiano in crisi dopo i fasti del passato. Perchè non cercare di fare di Firenze la capitale del restauro? Quale città ne avrebbe maggiormente i titoli? Il problema, per Firenze ma per l'Italia in generale, è che siamo bravi a fare i restauri ma non produciamo, se non in misura parziale, le tecnologie del restauro. Vorrei essere smentito, ma penso di poter affermare che la produzione della maggior parte delle tecnologie che noi italiani usiamo, con grande abilità, avvenga all'estero. E allora perchè non facciamo uno sforzo fra MIUR, Enti di ricerca, Università, Opificio, operatori privati per creare a Fienze anche dei centri di ricerca che producano le tecnologie per il restauro? Ne deriverebbero interessanti spin off, anche nell'utilizzo di tali tecniche. Poi si potrebbe favorire una nomativa che crei nuovi percorsi educativi in materia, come le Università di restauro. Padroneggiare l'intero ciclo (produzione di tecnologia, utilizzo, istruzione sull'utilizzo) creerebbe interessanti sinergie (mi scuso per la parola) e creerebbe una massa critica che darebbe una fortissima vocazione alla città.

 

Queste due ideuzze derivano dalla mia esperienza di funzionario del Ministero degli Esteri, che attualmente lavora all'IUE. Ben altro ci sarebbe da dire in settori come le arti contemporanee, il turismo ecc., la ricerca scientifica in campi diversi dal quello da me menzionato, ma non mi sento attrezzato per farlo.

 

Marco Del Panta

 

 

Florence is the next Florence non può lasciare delusi; al contrario, la sua lettura rincuora. In primo luogo perché è un documento raro: non è frequente doversi/potersi confrontare con una dichiarazione di intenti chiara, precisa e programmatica. In secondo luogo perché vi sono racchiuse riflessioni acute, supportate da analisi e ricognizioni sul territorio locale, nazionale e internazionale; leggendo il documento si respira. D'altronde, "nulla è più scoraggiante dell'assenza di margini di reinvenzione". Non si può infine non restare colpiti dalle conclusioni, che innescano un processo di condivisione e di confronto con la città:  una forma imprevista - in una società di monadi - un atteggiamento, per così dire, aperto e indisciplinato. Ne scaturiscono alcuni pensieri minimi, volutamente lasciati in embrione, per tentare una risposta disinteressata (pur se inevitabilmente soggettiva) allo sguardo che il documento pone sulla città.

 

Fra i target coinvolti in un progetto di sviluppo del contemporaneo a Firenze, oltre ai "classici" destinatari, un'attenzione particolare può essere riservata ai post-60 e ai ventenni.  Il target dei post-60, vario ed eterogeneo, consente di avviare riflessioni e azioni tutt'altro che banali, dal potenziamento del volontariato e del coinvolgimento attivo per la valorizzazione dei luoghi culturali (basti pensare a quanto questa forma di partecipazione sia utilizzata, e in modo proficuo, all'estero) allo sviluppo di linee di fruizione alternative per i destinatari "deboli" della società: in ipotesi, un museo in valigia che possa transitare per le case di riposo e di cura fiorentine, per nutrire e allietare coloro che, intrappolati dalle difficoltà fisiche, sono brillanti e attivi con la mente. Dall'altra parte, i giovani che ruotano intorno ai vent’anni: quella generazione neetnot in education, emploment or  training - spesso disorientata e insicura, che fugge da Firenze e che può invece trovare nella cultura un'àncora sociale.

 

 

Per quanto riguarda i contenuti e il loro primato: una riflessione culturale sulla città fra storia e contemporaneo porta alla mente due grandi temi (che in apparenza sembrano quasi contraddirsi): l'idea di luogo e l'idea di viaggio. L'anima dei luoghi, scrive Hillman; se ogni luogo ha un'anima, come già gli antichi sostenevano nella venerazione di un genius loci, Firenze ha un'anima particolarmente ricca e complessa, stratificatasi nel tempo, che tuttora ne abita le strade, gli edifici, le piazze. Un'anima che, proprio per non diventare merce di consumo o presenza schiacciante, deve poter interloquire con la contemporaneità: si pensi a residenze artistiche sui tòpoi della città - il fiume, la piazza, il mercato; si pensi a dialoghi, anche impertinenti, con i mausolei della storia e dell'arte. E il viaggio (ricordando i riferimenti ai dati dell’immigrazione e del turismo, nonché le proposte di Florence Exchange): il viaggio implica arrivo, itinerario, sosta e partenza; scaturisce da bisogni, svaghi, curiosità; include i concetti di dimora e di confine; porta necessariamente all’incontro con altro-da-sé, che si tratti di un individuo, di un’abitudine, di un paesaggio, di una lingua; si riferisce all’esperienza antropologica del conoscere. Perché dunque non creare uno spazio – magari nelle adiacenze di Santa Maria Novella – che sia dedicato a una riflessione artistica sul tema (dalla fotografia alla letteratura) oltre che, per l’appunto, a un’accoglienza e un orientamento più efficaci per i “viaggiatori”?

 

Valentina Zucchi - atto I

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Egregio Assessore,

ho letto il suo documento che trovo molto interessante sia come cittadino che operatore culturale.

Le scrivo in questa seconda veste essendo il direttore generale della Fondazione Orchestra Regionale Toscana che come sa è partecipata anche dal Comune.

Mi preme illustrarle brevemente l'attività che lega l'ORT alla contemporaneità fin dalla sua nascita, ormai quasi trenta anni fa.

Al di là delle nuove musiche che la Fondazione periodicamente commissiona a più o meno giovani compositori e la valorizzazione del repertorio contemporaneo, negli ultimi anni abbiamo realizzato due opere di teatro musicale di Giorgio Battistelli in prima italiana e la prima di queste: "Cenci" eseguita al Teatro de l'Odeon di Parigi e  al Teatro Albeniz di Madrid. La seconda opera "L'Imbalsamatore", verrà eseguita a Firenze il prossimo maggio e per l'occasione abbiamo deciso di trasferire la sua realizzazione fuori dal teatro tradizionale (il Verdi è la nostra sede e di nostra proprietà) portandolo alla Stazione Leopolda nel cartellone di Fabbrica Europa come fuori programma. Questa scelta è stata dettata da più motivi fra i quali l'intento, attraverso l'utilizzo di un nuovo spazio, di raggiungere nuovo pubblico. Lo spettacolo, che ha per protagonista Paolo Calabresi, utilizza, così come "Cenci", ampi mezzi multimediali per la spazializzazione del suono, videoproiezioni e altro. Tutto questo per confermare che anche un'istituzione classica può svolgere un ruolo determinante nella contemporaneità, è necessario essere "aperti" ed avere il coraggio di uscire dagli schemi abituali.

Vorrei infine ricordarle che l'Orchestra della Toscana ha un repertorio ampissimo che spazia dal barocco ai giorni nostri. Ho letto che una delle sue proposte concerne un Festival Internazionale di musica barocca e contemporanea la prossima estate, pertanto, le propongo la nostra partecipazione con più programmi da concordare ed eseguire in nuovi spazi della città aperti per l'occasione.

Come cittadino le scriverò a parte alcune riflessioni riguardo Firenze next Firenze.

Confido di poterla incontrare per iniziare una proficua collaborazione, nel frattempo le invio i più cordiali saluti.

 

Marco Parri

 

 "Voi possedete il governo della città, ed è giusto, giacchè siete la forza. Ma occorre che siate capaci di sentire la bellezza; in quanto come nessuno di voi può oggi fare a meno di potenza, così nessuno ha il diritto di fare a meno di poesia. Potete vivere tre giorni senza pane; - ma senza poesia, in nessun caso; e quelli di voi che affermano il contrario s'ingannano: non si conoscono. Gli aristocratici del pensiero, i dispensatori dell'elogio e della censura, gli accaparratori dei beni spirituali, vi hanno detto che non avevate il diritto di sentire e di godere: - sono dei farisei. Invero, avete il governo di una città ove è presente il pubblico dell'universo, e bisogna che siate degni di tale carico. Godere è una scienza, e l'esercizio dei cinque sensi esige una iniziazione tutta sua, che ha luogo solo con la buona volontà e il bisogno. Ora ciò che vi occorre assolutamente è l'arte. L'arte è un bene infinitamente prezioso, l'arzente che rinfresca e infiamma, che ristora lo stomaco e lo spirito nell'equilibrio nativo dell'ideale."

Baudelaire

 

Nel corso di questi ultimi anni ho utilizzato spesso questo “scritto sull’arte” di Baudelaire. Un passepartout che si rinnova ogni volta che Firenze e la cultura in Italia e nel mondo giungono a momenti chiave della loro vita.

Non so se questo è il caso nostro, se ormai (come prediceva Brecht) il ventre dell’Occidente è sterile, ma la passione, l’amore profondo per ciò che ci può innalzare dal fondo in cui siamo precipitati mi spinge a ritentare, fortemente e con il massimo rigore possibile.

Provo a cominciare questo “commento” allo scritto consegnatoci dall’Assessore indagando il metodo. Il metodo col quale si vuole produrre, distribuire, far vivere la cultura nella nostra città.

Ci terrei a spostare l’attenzione sull’arte (l’unione delle arti) nella loro accezione immateriale: si sente subito un tuffo al cuore quando si parla di arte perché spesso non si può toccare, non esite finchè non si suona o non si recita, non è spendibile facilmente a livello politico in quanto totalmente cozzante con il mondo nel quale viviamo (veloce e materiale). Se un politico vuole che la cultura “pesi” politicamente, può lasciare ogni speranza. Se vuole che crei Politica (nel senso della Polis) allora può trovare un patrimonio inesauribile.

Così, come ormai la storia del teatro ci insegna, l’edificio (teatrale) è successivo alla commedia, la musica è precedente agli strumenti e ovviamente ai teatri stessi. Così si può stare senza pane tre giorni, ma mai senza poesia. Firenze non è la culla del teatro, ma della commedia, degli attori, dei musicisti. Il percorso fiorentino è in questo quasi opposto a quello di Venezia, dove nacque il teatro commerciale.

Ecco, sento che nei secoli poco è cambiato: la natura dell’uomo non si modifica, si modifica il suo approccio al moderno e alla modernità (che sempre Baudelaire ci insegna essere la parte momentanea del capolavoro). Sempre brevemente (e sommariamente mi rendo conto) si può anche imparare dal passato che il Festival moderno (parola che ormai guida praticamente l’intera produzione culturale del Paese) è nato cinque secoli fa qui da noi. Il punto, e dico questo sempre in riferimento all’individuazione di nuovi orizzonti di metodo, è che a Ferrara nel 1529 Ludovico Ariosto era il direttore artistico del festival della città, e dialogava con Ruzante in merito non ad alte dissertazioni, ma “a far acconciar la scena”.

Certo, ci mancano questi personaggi. Però se pensiamo a quanto può essere fuorviante parlare di edifici, orari, licenze, parcheggi, senza una partenza, un contesto immateriale forte si rischia di fare immani sforzi organizzativi ed economici per una poesia che non c’è ancora.

Detto questo vorrei subito, più brevemente possibile, limitare il campo d’azione: può essere difficile ed ingiusto, ma il tentativo vale la pena: è impossibile accontentare tutto ciò che ora è ritenuto cultura. È impossibile. Non tratterò di produzione che abbia come scopo il guadagno, ciò che ha successo in quanto collegato non alla sua identità profonda, ma ad altri fattori determinanti (come la televisione, gli sponsor, la socialità che considera secondario il fattore culturale).

In particolare negli ultimi anni mi sono convinto sempre più che la concorrenza nella produzione culturale non esista. Un filosofo americano, di cui ora mi sfugge il nome e me ne scuso, divideva fra attività che esistono per amore, che si fanno per amore, e altre che esistono per interesse, e si fanno per vincere. Le prime alimentano se stesse in un circuito virtuoso, le secondo tendono a distruggere qualcosa in favore di un ampliamento di se stesse e non di un sistema. Ecco, credo che la cultura, e anche la politica, debba tornare nelle prime, nelle cose fatte per amore.

Questo per dire che la concorrenza non esiste nel nostro lavoro: se io realizzo un bel progetto, bei concerti, eventi, incontri o qualt’altro aiuto tutto il sistema, la città, i colleghi, tutti. Questa è una grande fortuna: possiamo vivere fuori non dal mercato, ma affinchè sempre più torni nel mercato il pensiero, la sensazione, la poesia che l’arte lascia nella vita delle persone. Se si pensa che questo non esista più, perché ormai “sappiamo come va il mondo”, allora sbraniamoci giorno giorno, dimenticando un orizzonte più ampio.

Questo mi spinge sempre più (e non senza una lotta interna, ci mancherebbe) a pensare che non sia un problema di risorse. Calma, non ridete. Datemi un attimo per spiegare: siamo sicuri di sostenere che bastano più soldi e il sistema cultura riprende a funzionare e grazie a noi che siamo bravi tutto andrà bene? Siamo sicuri? Perché se, con tutto il politichese e la sobrietà in cui siamo esperti, arriviamo a questa conclusione sostanziale noi ci spingiamo oltre il confine che riguarda ciò che facciamo, e sconfiniamo in una terra di nessuno dove la concorrenza non è fra noi, ma con la parte più aggressiva del sistema attuale. Con la modernità appunto, invece di muoversi ed operare in quello che ci compete di più, che è l’assoluto, il futuro, il passato, ciò che non “esiste” ma c’è. In questa nuova prospettiva abbiamo una certezza, morire, e un'unica via per rimandare la morte, fare lobby.

Sempre in quest’ottica mi sento di porre un attimo l’attenzione, entrando un po’ più nello specifico nel testo dell’Assessore, sulla parola “contaminazione”, che mi ha sempre saputo tanto di ospedale. La contaminazione, intesa come scelta artistica e produttiva sistematica, non credo possa esistere, ma soprattutto non può essere portata come spauracchio innovatore. La contaminazione potrebbe essere il risultato di alcune esperienze artistiche: ma dopo il Novecento e in un’era ormai mondializzata non ha più senso usare questo termine come simbolo appunto di innovazione. Proporrei maggiormente un discorso che si basi sul confronto: ponendo contemporaneamente nel tempo e in luoghi simultanei una varietà di proposte poetiche si dà possibilità di scelta, a tutti, di conoscenza. Ancora la dialettica fra i generi e le forme non ci permette di indicare vittoriosi o vinti: nell’attesa, che potrebbe essere anche stato definitivo, non si può far altro che dare la possibilità di conoscere. Non sarebbe poco.

Mi permetto ancora di riflettere su alcune parole: indisciplinata. Firenze è stata definita dall’Assessore come indisciplinata. È un eufemismo. Firenze è un casino, fa casino. È stracolma di rumore, puzzo, cose belle inaspettate, rabbie di un momento. Purtroppo risulta essere, alla fine, per opposta sorte, ordinatissima: sappiamo tutti come vanno le cose, chi fa quello spettacolo, chi fa quell’altro e perché, tutto secondo una logica stringente, inafferrabile e veramente demoralizzante. In questo Firenze è disciplinatissima. Per questo, sempre riflettendo su alcune parole chiave, la frammentazione tanto esibita è fittizia. Firenze vive di due, tre, forse quattro monopoli inarrestabili. Fortissimi, beceri, furbi, duraturi. Come qualsiasi monopolio di questo mondo, che non può neanche più ricredersi su se stesso talmente forte il meccanismo che ha avviato.

Se la frammentazione sono 200 associazioni che lottano su 100mila euro, allora davvero dobbiamo riflettere di cosa stiamo parlando. Una espressione invece che mi è piaciuta tanto, e che sembra venire appunto da un mondo parallelo, è “investimenti strategici”. Nella produzione di cultura a Firenze, da 20 anni almeno, non ne è stato fatto e portato a termine uno. Voglio lanciare una provocazione: un investimento strategico credo che alla fine sarebbe proprio quello di frammentare, mettere agli angoli opposti del ring i 200 pugili. Però per davvero, mandando su altri tappeti chi si occupa di vendere e incassare, e ricercando ciò che i giovani ai quali si riferisce l’Assessore (si, neo classicals, ma per me qualsiasi giovane) desiderano con tutte le loro forze, inconsapevolmente: le emozioni. Si ha paura a dire questa parola, vedo sempre sorrisi sotto i baffi. Ma è sul tavolo delle emozioni che dobbiamo giocare, con le persone che tornano a casa non perché sono state allontanate per un po’ dalla vita (a questo ci pensa la televisione, e non solo, tutti i giorni) ma perché hanno ricominciato a rifletterci con amore e serenità. Questo è il primo compito della cultura qui da noi. Ecco perché credo che le associazioni temporanee di impresa siano soltanto cartelli affaristici fra monopolisti per spartirsi soldi pubblici. Ad ognuno le proprie responsabilità: alle amministrazioni pubbliche quella più importante, che non si può sostanzialmente mai delegare, gestire le risorse comuni per il bene di noi tutti.

Da Empoli scrive anche di una “tradizione interdisciplinare e anti-accademica” di Firenze, e indica alcuni riferimenti cittadini in merito. Davvero vorrei poter individuare nella mente e nei ricordi riferimenti precisi validi, ma faccio fatica. Può essere sicuramente colpa mia, ma al di là di questo penso che le decisioni già illustrateci dall’Assessore (festival musica barocca, premio diplomazia culturale, festival dell’innovazione) possano correre il rischio di cercare anti accademismo e interdisciplinarietà laddove non esistono da anni. Laddove mancano, al di là di tutto, le persone.

Creatività è l’anagramma di Cattiveria, è una parola che ha in sé qualcosa di ambiguo (o almeno io non sono mai riuscito ad usarla serenamente). Perché non tornare a parlare di Cultura, Arte e basta, levando quei quintali di interessi di basso livello che schiacciano ogni innovazione che non si presenti come sistematica e razionalista.

Se nel teatro, il luogo intendo questa volta, si porta ciò che è noto tramite altre vie (televisione, pubblicità, internet) non solo si trasmette l’idea che i teatri esistano per questo, ma si arriva a distruggere l’identità stessa del teatro, che peraltro abbiamo fatto nascere noi qui, a Firenze, nella Camerata dei Bardi, nel Teatro degli Uffizi, nel Salone dei Cinquecento (dove una rappresentazione 5 secoli fa prevedeva come scenografia Piazza della Signoria! Il teatro era specchio dell’arte stessa, del mondo, e lo potevi guardare dalla finestra!!!).

Quando Da Empoli parla di “dare spazio alla produzione artistica” si vede quanto una verità sacrosanta vada ripetuta, e ridetta perché non più data per scontato. I nostri teatri (sì certo, tranne qualche eccezione che comunque vive dei drammi così forti che non sono affrontabili ora) non hanno maestranze, non hanno luci, regie, americane, quintature, macchinisti. Sono luoghi pronti solo a rispecchiare il vuoto, ciò che viene venduto.

Guardiamoci negli occhi (non so se internet permetta questo…), facciamo sì che la nostra città ci obblighi ad andare via, fuori, a cercare e vedere il mondo: il mio sogno è una città che possa essere un misto fra Buenos Aires e Vienna, ordinata e aperta 22 ore al giorno, silenziosa con migliaia di persone e mezzi e lavori in movimento e che non interrompa l’emozione con la disperazione dell’abitudine.

Mario Setti

Presidente Nuovi Eventi Musicali

 

 

 

Finalmente..qualcosa si muove!

Da Bar Camp  a Florence is the next Florence il passo è grande. E molti sono i punti dell’analisi di Da Empoli assolutamente condivisibili: dal “paradosso fiorentino” all’annuncio di una città che deve puntare sul primato dei contenuti, dalla ricognizione a 360 gradi degli spazi potenzialmente disponibili per il contemporaneo all’eterno tema della cultura notturna, dalla revisione dei meccanismi di  finanziamento alla consapevolezza che “per quante persone in gamba si riescano a mettere intorno a un tavolo, le idee migliori stanno sempre al di fuori…(…) Solo una vasta condivisione darà la possibilità (a questo documento) di trasformarsi davvero in realtà”.

Ed ecco un mio piccolo, personale contributo.

 

In estrema sintesi, approfondirei almeno 3 questioni:

 

- Il paradosso fiorentino.

Non si può non essere d’accordo sul fatto che Firenze sia oggi messa peggio di molte città italiane (da Bari a Palermo, da Venezia e Bologna…per non parlare di Napoli, Roma o addirittura della tanto osannata Torino). Io sono arrivato a Firenze nel 1985, all’inizio di un periodo difficile, ma niente allora faceva presagire l’attuale situazione.

Ciò detto, dobbiamo però in tutta franchezza cercare di capire le tante cause di tale declino. Tra esse, non secondario è il ruolo a dir poco “indeciso” delle istituzioni locali, a partire dal Comune: e non è questa una semplice questione “logistica”. Non parlo qui del tourbillon di Assessori alla Cultura succedutisi negli ultimi anni.  Segnalo che al di là degli sforzi di tante strutture e realtà culturali operanti in città con percorsi ed obiettivi talora innovativi, Firenze è forse l’unica città italiana di una  certa dimensione priva di un organico progetto di residenze culturali, di convenzioni pluriennali, di una qualche stabilità. Soprattutto negli ultimi anni è stato un susseguirsi ininterrotto di piccole risposte a piccoli problemi: abbiamo tutti rincorso l’approvazione di progetti per l’inverno, per l’estate (attenzione:  il bando per l’estate 2010 prima di un progetto complessivo potrebbe perpetuare questo stato di cose… con l’arrivo di centinaia di progetti, spesso elaborati solo nell’attesa di sapere se si sia o meno inclusi in un percorso di più ampio respiro), per la primavera, per Ferragosto, per il Capodanno, in una provvisorietà permanente… e impegnando senza sosta sia l’Assessorato alla Cultura del Comune che le Commissioni Cultura di uno o più Quartieri. E’ quasi superfluo sottolineare in questa surreale modalità operativa l’enorme perdita di tempo e risorse per TUTTI.

Questo è poi avvenuto, tranne il breve periodo del governo Prodi, in presenza di uno Stato a dir poco latente sul terreno della Cultura e dello Spettacolo. Oggi, tra tagli del Fus e dichiarazioni di Brunetta la situazione è a dir poco critica! Più volte negli ultimi anni l’allora presidente della Commissione Cultura Dario Nardella ha condiviso queste perplessità del mondo artistico fiorentino. Ecco, credo che una visione nuova (certo non priva di difficoltà!) della politica culturale fiorentina dovrebbe partire anche dal ridisegno complessivo e stabile di ciò che esiste e si ritenga valido, sulla base di progetti almeno triennali. E’ questa una richiesta urgente, e se, per raggiungere tali obiettivi, fosse preventivamente necessario un potenziamento in qualità-quantità degli Uffici a ciò preposti, ciò dovrebbe avvenire quanto prima e comunque entro l’anno.

 

- Abitare i confini. L’Arte dello Spettatore.

Scriveva nel dicembre 1991 Padre Ernesto Balducci: “C’è un continente inquieto nascosto in noi che è il rispecchiamento interno di quella parte del pianeta che è emarginata, oppressa. Il negro è in noi, è fuori di noi ma è anche in noi. (…) A Firenze c’è sempre stata la prostituzione, l’omosessualità, la devianza: adesso c’è un alibi, sono gli extracomunitari. L’attribuzione al diverso delle anomalie che appartengono alla nostra cultura è il primo indizio, perché la mancanza di sicurezza in un gruppo sociale si riflette nell’individuo in un crollo della sicurezza. Così potremmo ben presto vedere questo urto tra le diversità come un fenomeno destinato a mettere in forse i livelli di umanità che abbiamo raggiunto. (…) Questa città basata sulle separazioni, sulle segregazioni, sulle parcellizzazioni dell’esistenza ha toccato un limite oltre il quale ogni equilibrio si spezza. I bambini nella scuola, i malati nell’ospedale, i matti nel manicomio, i carcerati nel carcere, i vecchi nell’ospizio!” Ben venga, a mio parere, il “grande festival internazionale dedicato al Teatro italiano nel Mondo”, ma trovi finalmente una casa dignitosa e stabile una iniziativa, una “cosa” nel segno dell’accoglienza dei tanti diversi.  Ne è un piccolo esempio la nostra Libera Repubblica delle Arti e delle Culture…ma certamente non basta! Riprendendo i miei appunti su L’Arte dello Spettatore  presenti su Bar Camp,  questa “cosa” dovrebbe formare e accogliere giorno dopo giorno anche un nuovo spettatore, non più visto come semplice consumatore: fatto che provocatoriamente ho definito CoCoCo, acronimo per Contemporaneo Contaminazione (tra Linguaggi e Culture) Complicità (tra Attore e Spettatore).

Occorre insomma abolire gli steccati, abitare i confini (prendo il titolo dal mio programma di San Salvi per il 2010), passare, come dice Eugenio Borgna,  dallo spazio geometrico a quello vissuto,  ammettere come nota Pier Aldo Rovatti che l’incapacità di sostenere il peso dell’altro e dell’alterità appare ogni giorno di più come il problema della nostra epoca,  fondere vitalità e fantasia in uno spazio che contenga in sé insieme l’elemento femminile e quello maschile, il tempo circolare e quello lineare: vivere le Culture.

 

- Una città ricca ma sommersa. Un’utopia concreta.

Firenze è oggi una città povera di cultura? No, decisamente no! Se penso agli  Artisti di ogni Linguaggio (musicisti, pittori, attori, performers…) e di diverse Culture che quotidianamente incontro, agli Studenti universitari che seguo in percorsi di laurea, dottorati di ricerca…(a proposito: andrebbe anche valutato un più fattivo coinvolgimento dell’Università fiorentina, oggi isola separata nel panorama culturale della città), ai tanti Giovani che dolcemente mi assediano con domande, proposte, progetti, a quanti mi chiedono insistentemente di lavorare per una memoria viva di San Salvi. E’ che tutto questo mondo, e naturalmente non solo questo mio piccolo mondo, è sommerso, quasi invisibile. Che fare, allora? E’ senz’altro giusto, come sottolinea Da Empoli,  coordinarsi,  creare reti, magari, aggiungerei io, anche tra i diversi linguaggi e con progetti che favoriscono l’incontro tra le generazioni; a San Salvi, ad esempio,  pensiamo di realizzare un progetto nato quest’anno a Berlino: qui alcuni giovani che lavorano nei Centri Sociali hanno aperto una singolare scuola per writers…esclusivamente rivolta agli anziani, oggi impegnati a dipingere le  loro emozioni sui muri!

E a Firenze? Qui esiste solo una (meritoria)  associazione Firenze dei Teatri… ma ha senso oggi ridurre l’incontro a chi opera in un campo così ristretto? Non è un caso che realtà multilinguaggio come Fabbrica Europa, Cango e noi di San Salvi non siano presenti in questa associazione ed operino perciò singolarmente. Ecco l’Utopia concreta  di basagliana memoria:  io credo che in un sistema  culturale cittadino stabilizzato (leggi quanto è su detto intorno al paradosso fiorentino) sia possibile fare sistema, dando vita ad una larga aggregazione dei soggetti che fanno Cultura-Culture nella nostra città, tutti con la “voglia” di costruire la next Florence.

 

Grazie.

Claudio Ascoli

Chille de la balanza San Salvi

 

%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%

Un documento di respiro, altamente necessario per porre un punto fermo. Ottima piattaforma di discussione se i presupposti di apertura verranno mantenuti. Personalmente mi ritengo molto soddisfatto dall'impostazione e dai punti centrali, anche se poi ci sono dettagli la cui implementazione specifica non è chiara e sui quali ci sarà dunque tempo per discutere. Mi pare interessante riportare qui di sotto 5 punti che facevano parte di una mia lettera aperta al vicesindaco Dario Nardella del 1 Giugno 2009, dunque prima che fosse eletto, ed era dato come Assessore alla Cultura in pectore. Impressionante la convergenza di vedute, a posteriori..

 

Estratto dalla lettera aperta al Vicesindaco Nardella del 01.06.2009

-------------------------------------------------------------------------------------------

1. Come mai pure avendo un indubbio vantaggio di partenza rispetto ad altre città, Firenze non riesce ad attrarre, come ad es. riesce a città tipo Berlino, Parigi, Barcellona, Stoccolma, Zurigo, Vienna artisti internazionali che scelgano di venire a lavorare più o meno stabilmente  tra le sue mura ?

2. Piuttosto che continuare a costruire white-boxes che comunque non riescono ad attrarre sufficienti visitatori perché manca una cultura dell’arte contemporanea nel pubblico, non sarebbe più utile impegnare risorse nel pensare a residenze per gli artisti, offrire loro delle commissioni, indire concorsi d’arte (il tutto a livello internazionale) in modo da attrarre idee e capacità a Firenze e qui costruire un humus di cui poi anche gli artisti fiorentini (giovani e non) e i cittadini  stessi potrebbero usufruire ?

3. In che modo pensa (nel caso pensi sia utile) di sostenere la diffusione di ciò che verrebbe in tal modo prodotto a Firenze a livello internazionale ? Sappiamo quanto altri paesi come ad es. la Francia ed i paesi nordici in particolare, investano – anche a livello delle singole città – per pubblicizzare, diffondere e vendere i prodotti artistici su cui hanno investito.

4. Come in ogni attività umana è fondamentale disporre di criteri e strumenti oggettivi di verifica qualitativa dei progetti che vengono finanziati. E’ inoltre parimenti importante che tali fondi siano distribuiti in maniera trasparente e su valutazione ex-post dei risultati. L’eccellenza dovrebbe essere finanziata come criterio primario. E’ d’accordo su questi punti e come intende implementarli concretamente nella sua visione della futura politica culturale per Firenze ?

5. Sogno una città in cui ogni sera io, cittadino, ho scelta di eventi culturali innovativi, che ricercano con determinazione e coraggio il nuovo, che possono permettersi di non dover venire a patti con esigenze commerciali e che per avere il giusto impatto non debbano essere preferibilmente accompagnati da ingestione di pasticche sintetiche. In una parola, arte d’avanguardia. E non è necessario costruire un nuovo museo di arte contemporanea (sono d’accordo con lei in questo caso), ma elevare il livello dell’arte che viene prodotta a Firenze in maniera che lasci anche il resto del mondo stupito. Ha voglia di provarci, e come ?

 

Ongakuaw a.k.a. Andrea Ferrara

musicista | scienziato (am I a "new humanist" ?) 

%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%% 

 

Felice di confrontarmi finalmente con idee e proposte che partendo da lontano cercano di delineare ipotesi strategiche e riflessioni profonde. Mi aspettavo qualcosa di nuovo dalla nuova Giunta e dal nuovo Assessore e l'inizio è davvero promettente. Ma veniamo al concreto.

I punti che mi sono sembrati più interessanti, nell'interesse generale, per me che mi occupo di teatro, sono stati quelli che si riferiscono al capitolo "la città in-finita" e "Google Calendar", aggiungendo anche tutte le riflessioni sul primato dei contenuti.

La ricognizione degli spazi è sempre stato un tema dichiarato importante, ma mai si è saputo unire i due elementi che solo, appunto, uniti permettono a questa mappatura di diventare motore di innovazione e di proposte: ovvero lo spazio e la sua gestione, o meglio quale gestione per quale spazio, per quale attività e in quale contesto culturale, performativo, artistico si inserisce. Faccio un esempio di triangolazione di spazi: Stazione Leopolda/Fabbrica Europa, Strozzina, ex-Quarter e Florence Art Factory (FAF), quattro tipologie architettoniche diverse, inserite in contesti diversi, con vocazioni diverse, eppure così perfettamente integrabili in rete ed in grado di offrire offerte di alta qualità per un pubblico vasto e eterogeneo (ex-Quarter luogo espositivo per l'arte figurativa) e FaF luogo frontiera (anche per la sua collocazione nel banlieue fiorentino) di sperimentazione per le arti performative.

Da questa riflessione viene automatico il rilievo che l'Assessore fa nel capitolo "Google Calendar", l'odiosa frammentazione dell'offerta culturale: quei "campetti" che ognuno chiude con recinti per coltivare ormai solo stantii residui di organismi biologici. Un male storico per Firenze, che è doveroso superare come condizione primaria per ripartire. Quindi privilegiare la capacità di relazione, anche tra gli stessi soggetti all'interno del nostro territorio e, giustamente, anche con la creazione di ATS con compiti chiari e mission precise.

Una considerazioni sul tema del primato dei contenuti. Tema caldo, difficile da leggere e decifrare (pensiamo a tutto il dibattito qualità/quantità). Credo che sia un tema fondamentale per quanto di difficile soluzione: chi valuta chi? Quali parametri? Ecc.... ma il fatto che sia stato messo nella prima relazione dell'Assessore mi fa ben sperare.

Aggiungo anche un'ultima cosa sull'apertura delle nostre attività al mondo. Credo che la dimensione internazionale sia una esigenza per chi fa cultura e chi la fruisce. Il Laboratorio Nove, che rappresento, ha visto ridurre i propri borderò ministeriali perché lo Stato riconosce solo quelli (in parte) effettuati all'interno della Eu, con buona pace di si sforza di allargare confini e mentalità. Contraddizioni tra le mille che stiamo vivendo.

Per ora mi fermo qui con la speranza più concreta di una nuova vita per la cultura fiorentina.

Silvano Panichi

Laboratorio Nove 

 

Alla cortese attenzione dell’assessore Giuliano Da Empoli – 28/09/09

Dunque, tento di nuovo un commento allo stimolante documento Florence is the next Florence,

ovvero Una strategia per il contemporaneo.

La prima frase che mi sento di  appoggiare è che per far sì che Firenze si riappropri della sua identità perduta, è non solo necessaria, ma imprescindibile, la partecipazione e l’adesione di tutta l’Amministrazione e del Sindaco per primo.

Decodificare il DNA (imbastardito) della cultura cittadina, sarà davvero il primo difficile passo, in quanto ogni lodevole iniziativa di qualità internazionale, quali quelle citate (cui aggiungerei il primo Festival della Creatività), è finita ingoiata nel “buco nero” della provincialità, dell’egocentrismo e della competitività al ribasso che contraddistinguono la fiorentinità.

Difetti che sono un ostacolo anche per quell’apertura sul mondo ricordata da Da Empoli. Avendo insegnato per oltre 30 anni, nelle più prestigiose delle 31 (per il numero esatto si invita a consultare il sito www.aacupi.org ) Università Americane, con campus a Firenze, so che si lasciano coinvolgere nelle manifestazioni cittadine per il minimo indispensabile (vedi anche L’Istituto Universitario Europeo), reticenti a partecipare, e autosufficienti quando non addirittura autoreferenziali, quali sono. Forse le uniche che potrebbero essere risollecitate con intelligenza e diplomazia sono la Syracuse e la New York.

Quindi ri-partire da quello che c’è - e un ingente patrimonio storico-artistico qui c’è - mi sembra la strategia più intelligente, e l’unica. Lo confermerebbe anche il museo di Palazzo Fabroni, che ha appena riaperto, proprio dichiarando la sua vocazione alla riflessione sull’arte, in particolare quella ambientale già acquisita dal territorio attorno a Pistoia e nel resto della Toscana.

La ricognizione accurata degli spazi fruibili, qualora siano chiari e maturi i contenuti da inserirvi, e quando siano stati trovati gestori degni e adeguati, deve essere conclusa al più presto. Come si deve poter tornare a fruire delle donazioni e collezioni sepolte nelle cantine (anche 4 stelle lusso come quelle del Forte Belvedere!) della città. C’è caso che si trovi anche qualche area dismessa da trasformare in parco delle sculture già “donate”, da rimuovere quindi dal centro, e dove piazzare quelle che arriveranno, col benestare della nuova commissione (ma il Parco di Valicaia a Scandicci che fine ha fatto? E il magnifico Parco mediceo di Pratolino?). Ben venga, per esempio, la riapertura dell’Alfieri, che per la mia generazione ha significato cinema ed eventi di grande qualità, e quindi degli altri luoghi citati .

Però, nell’attesa che non sarà breve, visto che Da Empoli nomina Palazzo Strozzi, perché non mettere nella programmazione triennale della fondazione almeno 1 mostra d’arte contemporanea nei piani superiori? Il CCCS va benissimo, ma poiché da noi nessun architetto riuscirà ad infilare una piramide (o un parallelepipedo qualunque) nel cortile, almeno diamo un segnale che l’arte del nostro tempo è considerata come quella del passato e non l’ancella.

Il design pubblico è nota dolentissima, e pensare che Firenze ha dato i natali ai “radicals” più fantasiosi e immaginifici! Esperti di arte pubblica ce ne sono, ma attenzione a quali di loro affidare una nuova estetica...della segnaletica! Altrimenti meglio sarebbe rivolgersi ai vecchi architetti di cui sopra, inclusi quelli migrati a Milano.

Bene auspicare un coordinamento tra gli operatori culturali per evitare la frammentazione e sovrapposizione, con un calendario molto anticipatorio.

Punto nodale fondamentale è il favorire l’interscambio tra Firenze e il resto del mondo, e sono curiosa di vedere come funzionerà Ambassadors. Firenze era (ed è ancora) famosa per i suoi salotti, quindi aprirne uno - meglio se selettivo- nel cuore della città, potrebbe rialzarci il tono.

La questione dell’assenza dei media internazionali la sento molto, in quanto, essendo invitata a tutte le conferenze stampa indette per gli eventi culturali in quanto giornalista (plurilingue) con tanto di regolare tessera (che pago annualmente), mi ritrovo circondata da tre gatti tesserati come me e da uno stuolo di persone non professioniste chiamate a far numero. Mai qualcuno parla un’altra lingua che non sia la nostra, perciò come faremo a divulgare nel mondo the next Florence? Forse con questo Premio Internazionale per la Diplomazia Culturale? O con il Festival dell’Innovazione? Auguriamocelo, assessore, se vuole una mano, io già gliel’ho offerta.

                                                                                                                                                                                               Paola Bortolotti 

                                                                                                                                                                                               art writer 

 

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

 

DAL MUSICUS CONCENTUS di FIRENZE

 

Diceva Brian Eno, in una rara intervista di qualche anno fa, che negli anni Settanta la musica era un valore per i giovani, un interesse per cui discutere e prendere posizione, mentre oggi è un oggetto di consumo, un gadget buono per vendere altre merci (telefoni cellulari, mp3, computer).

 

Le appassionate reazioni alla lettera d’intenti dell’Assessore Da Empoli testimoniano della fame di partecipazione alla/della/per la cultura a Firenze, che non si è spenta nonostante i molti anni di declino della progettualità tout court in questa città, non solo in ambito culturale.

 

E se le reazioni sono state vivaci si deve anche al fatto che in questi anni è rimasta viva e pulsante a Firenze una scena culturale talvolta sotterranea e quasi contrapposta a quella ufficiale, che ha orgogliosamente e puntigliosamente alimentato la ricerca, la selezione e la crescita di nuove esperienze, nuove discipline, nuovi talenti, mentre da più parti si inseguiva e si chiedeva il testimonial, la star, il mito, dimenticando che tutti, anche i migliori, prima di essere grandi sono stati piccoli.

 

Condivido premesse e prospettive del documento di Da Empoli, in particolare la ricerca di un percorso originale per il rilancio di Firenze, basato su quella energia creativa che già ha reso grande la città e il suo patrimonio, con la consapevolezza che i tempi sono cambiati e così anche gli strumenti. Indisciplina e apertura, genio e sregolatezza, dettaglio e lungimiranza, presente e futuro, ovvero lo strabismo di Venere come supremo esempio di bellezza.

 

Apprezzo anche le prime idee che Da Empoli getta sul tavolo delle possibili cose da fare. Credo che ad esse ciascuno degli operatori di questa città ne potrebbe aggiungere di sue, per cui limiterò i miei suggerimenti all’idea di creare un percorso comune e trasversale che, partendo dalla prospettiva del Masaccio nella Cappella Brancacci, arrivi alla musica che il Musicus Concentus propone in Sala Vanni, la sua sede, passando per l’incantevole chiostro dove potrebbero trovare posto opere di autori contemporanei; tutto all’interno dello stesso complesso in Piazza del Carmine, pochi metri per un viaggio di secoli.   

 

Prendo a prestito le parole di Da Empoli per sottolineare che “l’immagine di una città completa, finita, merita di essere contrastata”, e confesso che ho sempre trovato stridente la contraddizione tra il fatto che Firenze è la terza città italiana per introito Siae, e la litania dei fiorentini che dicono che in questa città non succede mai niente.

 

Gli operatori culturali ma di più, tutti i cittadini, dovrebbero immaginare Firenze come una grande barriera corallina di cui essi sono gli abitanti/esseri viventi, e costruiscono lassù su in cima, dall’alto della sua straordinaria storia, nuove opere, nuovi suoni, nuove visioni, introducono nuovi comportamenti, sviluppano nuove strategie. Come i Medici erano contemporanei ai loro tempi, noi dobbiamo essere contemporanei ai nostri.

 

Come fare per contribuire a questo processo? Innanzitutto individuando obiettivi convergenti, che spesso vuol dire diversi ma compatibili, tra operatori diversi e diverse categorie, tra pubblico e privato, tra istituzione e impresa. Allo stesso tempo occorre darsi degli obiettivi ampi, perché possano abbracciare il territorio metropolitano, perché possano lasciare spazio ad altri partner, perché abbiano il respiro temporale necessario per essere raggiunti

 

Operatori culturali e operatori commerciali potrebbero lavorare insieme ad un cartellone metropolitano con la consapevolezza che più spesso le idee stanno da una parte e le risorse dall’altra, e la condivisione di problemi e aspettative rivela sorprendenti squarci trasversali; evitando così il proliferare delle associazioni di strada che invocano iniziative mirabolanti da destinare solo ai propri numeri civici, un fai da te tanto miope quanto velleitario.

 

“La riforma completa delle modalità di finanziamento delle attività culturali” è quanto mai necessaria: e credo che i livelli bando e convenzione possano rappresentare i due pilastri di riferimento attorno a cui far girare il meccanismo, il primo per garantire il ricambio attraverso l’accesso delle nuove generazioni, dei nuovi progetti e dei nuovi talenti, il secondo per assicurare certezza di risorse e di rapporti ai talenti e ai progetti che sul terreno hanno mostrato radicamento, ottenuto successo, generato ricadute positive in termini culturali e perché no, economici.

 

Nel capitolo delle iniziative strategiche metterei senz’altro una rivoluzione copernicana della promozione: da anni ormai siamo entrati in una interminabile fase di mezzo tra la comunicazione digitale e quella cartacea. Le due direttrici non sono incompatibili, ma mentre la prima ha costi accessibili e in ogni caso modulabili secondo le necessità e le possibilità dell’utilizzatore, la seconda è tutt’ora estremamente costosa e in certe condizioni specifiche gestita in maniera discrezionale.

 

Gli operatori potrebbero mettersi insieme per comprare spazi pubblicitari sulla carta stampata a prezzi più competitivi, il Comune potrebbe facilitare l’accesso ai propri spazi informativi perlomeno per quelle iniziative che hanno il suo patrocinio o addirittura il suo sostegno economico. Non è infrequente il caso che dalle casse di un Assessorato escano delle somme di denaro che rientrano nelle casse di un altro, per la presenza di un marchio in più o in meno, con impatto zero sulla manifestazione in oggetto e tanto lavoro (di grafici, uffici stampa, amministratori) per nulla.

 

È proprio su questo terreno che si potrebbe raggiungere una prima facile convergenza tra soggetti diversi; e il Comune potrebbe contribuire fortemente a questo orientamento, destinando parte delle risorse ad una comunicazione puntata sull’orizzonte nazionale e internazionale, che nessuna delle piccole e medie imprese culturali della nostra città potrà mai permettersi.

 

È del tutto evidente – e l’Assessore non manca di ricordarlo – che attorno alle attività culturali ruotano interessi e competenze molteplici, che rimandano a numerosi punti nevralgici dell’amministrazione comunale: oltre alla cultura l’istruzione, la mobilità, l’ordine pubblico, l’economia. La notte poi vengono a contatto mondi diversi, alcuni dei quali “possono mischiarsi e comunicare, abbattendo le barriere che li separano di giorno”; ma altri collidono per esempio con il diritto al riposo e alla privacy, facendo scintillare le contraddizioni di una società complessa che deve continuamente verificare il proprio punto di equilibrio.

 

Questa come altre questioni della vita sociale non deve essere gestita come conflitto, ma come opportunità per aggiornare la sensibilità comune anche attraverso l’educazione alle priorità, per cambiare la politica del rifiuto e del divieto che spesso, con palese contraddizione, ha ispirato le scelte rivolte alle nuove generazioni. Per questo è auspicabile rilanciare quella che una volta si chiamava conferenza dei servizi, semplificando le procedure, accorpando le competenze, istituendo un tavolo comune permanente tra gli Assessorati interessati.

 

A questo punto irrompe di prepotenza il principio che le iniziative scelte dal Comune di Firenze debbano essere assistite e sostenute per tempo e fino in fondo: con il sostegno della Giunta alle politiche dell’Assessore alla Cultura, che talvolta è mancato in passato, con la riqualificazione e il potenziamento dello staff tecnico dello stesso Assessorato, che più volte è stato definito strategico.

 

È dal vertice della piramide che deve venire l’esempio di una nuova partecipazione, che deve cambiare l’atteggiamento per cui una volta deliberata, quella determinata iniziativa per il Comune è passata, finita. Per scongiurare imboscate amministrative provocate da errori fatti per ignoranza o impreparazione, per essere orgogliosi delle cose fatte e del marchio che le contraddistingue, per trasformare tutti i cittadini in attori del progetto.

 

 

 

Firenze – 05 ottobre 2009

 

Fernando Fanutti

Presidente Musicus Concentus

 

Gent.mo Assessore,

 

del Suo documento condivido moltissimo, sia nell’analisi che nella parte programmatica. Della prima in particolar modo le due direttrici chiamate “indisciplina” e “apertura” che descrivono ciò che sono state le caratteristiche peculiari della cultura fiorentina nel passato, purtroppo poco visibili oggi, anche se non assenti; della seconda il concetto di contemporaneità nel suo significato di attenzione alle esigenze del cittadino di oggi,  e di interdisciplinarietà fra iniziative culturali che coinvolgano soggetti diversi su tematiche comuni.

            La mia professione, musicista “classico”, mi ha portato giovanissimo a lasciare Firenze. Era l’inizio degli anni ‘70 e Firenze era una città viva, culturalmente stimolante, centro di iniziative di respiro mondiale sull’onda di personaggi come La Pira, don Milani, Bargellini, Padre Balducci, ma anche era la Firenze dove operava Michelucci e Luigi Dallapiccola, che sapeva reagire prima alla tragedia della guerra e poi all’alluvione, città al centro dell’attenzione mondiale non solo come culla di straordinarie opere d’arte, ma che pretendeva anche un ruolo di guida in ogni disciplina e in ogni espressione del pensiero artistico, sociale, politico. Nel mio campo, la musica, come non ricordare il famoso Maggio espressionista, e i numerosi concerti contemporanei, primi in Italia,  organizzati dall’Accademia Cherubini al Conservatorio e successivamente la creazione del Musicus Concentus, allora organizzazione sperimentale di musica antica e contemporanea, con cui collaboravano musicisti, docenti universitari, artisti di varie discipline.

            Vi sono ritornato alla metà degli anni 80, e la mia professione non mi ha permesso di vivere a fondo la città, occupato molto più al di fuori delle mura cittadine. Ma l’impressione dell’offerta culturale e specialmente musicale della città è stata assai deludente rispetto a ciò che avevo lasciato. L’aria che si respirava era di un compiaciuto raggiungimento di status che impediva ogni ricerca di novità e di sperimentazione e il confronto con Venezia e la sua Biennale, Bologna e le Feste Musicali, Milano, e infine Torino con Settembre Musica, poi divenuto MiTo era sconfortante.

            Dieci anni fa ho inviato una lettera all’assessore di allora per stimolare una reazione indirizzata ad un rinnovamento. La lettera ebbe il suo effetto e l’assessorato organizzò alcune riunioni con gli addetti del settore musicale, abbastanza deludenti per la scarsa partecipazione proprio delle istituzioni stesse. Ciò nonostante l’interesse dell’Assessore mi convinse che la strada era percorribile e iniziai ad organizzare  una rassegna, Suoni Riflessi,  che avesse lo scopo di intercettare un pubblico diverso da quello pigro e demotivato che frequenta, ormai sempre meno, le sale musicali. Era necessario far dialogare culture e discipline diverse:  arte e scienza, filosofia, teatro, musica, poesia, letteratura, pittura, cinema in “concerti” a cui vengono invitati letterati e pittori, filosofi, etc oltre ai musicisti, nella convinzione che ogni espressione dell’uomo è debitrice alle altre e non può esserci nessuno appassionato di una espressione che possa essere completamente insensibile alle altre, a meno di equivoci grossolani che possono e debbono essere rimossi. Il risultato, assai incoraggiante, mi ha convinto a continuare l’esperienza, anche se recentemente con molte difficoltà, abbandonata, cioè, al solo entusiasmo degli organizzatori e a qualche sempre più magro ,anche se  provvidenziale, contributo pubblico e privato, nonostante collaborazioni fattive con Accademia di Brera, Pro Helvetia, Giunti editrice, Accademia Musicale di Firenze, NEM, Opifer. Ma questo  basta per accorgersi che  esiste davvero la possibilità di un rinnovamento.

La cultura e la contemporaneità a Firenze devono essere il volano per una vera attrazione mondiale, così come lo erano un tempo. E’ una scelta che porta risultati a lungo termine ma è anche l’unica possibile per la vocazione della nostra città che non può e non deve ridursi a semplice richiamo turistico come una bella spiaggia o un bel panorama ma che deve ritrovare nel pensiero e nell’arte passata, presente e futura la ragione profonda della sua vita.  Per far questo in modo sistematico si devono fare scelte sia da parte degli operatori culturali che da chi è tenuto a dare indirizzi programmatici che tengano conto che la qualità della vita è l’humus indispensabile in cui  si sviluppa la libertà e la democrazia di cui la città stessa è testimonianza nelle sue realizzazioni grandi e piccole.

Ecco, dunque qualche suggerimento per un contributo fattivo:

 

1)      Sono necessarie scelte sull’individuazione delle attività da sostenere. Oggi ci sono a Firenze una molteplicità di iniziative, alcune delle quali difficilmente si possono definire culturali. La distinzione deve essere fatta sull’indirizzo programmatico. Attività che producono concerti per il relax del turista, pur legittime e piacevoli, non possono essere confuse con attività di ricerca culturale che contribuiscono alla formazione spirituale del cittadino e configurano il livello di una città.  Ricordiamo sempre che la musica è un’arte e mai un intrattenimento.  Per questo ultimo inconfutabile concetto, la scelta dovrà essere anche sul livello qualitativo. Qualità e non quantità, secondo criteri scientifici e artistici poco oppugnabili.  Qui non posso che essere d’accordo su ciò che scrive Setti a proposito di  “attività che esistono per amore, che si fanno per amore, e altre che esistono per interesse, e si fanno per vincere” .

2)      E’ necessaria una programmazione con molto anticipo. Per cui gli operatori del settore debbono avere la sicurezza che le loro scelte siano realizzabili. In ogni organizzazione musicale estera la programmazione avviene molto prima e senza l’incertezza della copertura finanziaria. Non ci si può confrontare in campo internazionale se non con questi presupposti.

3)      In certi campi specifici è necessaria una programmazione a  lungo termine (almeno tre anni) per poter realizzare cicli e anticipare commemorazioni, anniversari, etc. E’ necessario dunque che le convenzioni non abbiano scadenza annuale, ma si intendano rinnovate su progetti pluriennali.

4)      E’ giusto che l’amministrazione comunale finanzi progetti che hanno la possibilità di muovere sponsor ed altre risorse economiche, ma bisognerà prima di tutto fare attenzione a qualità e indirizzo artistico. Sappiamo tutti, purtroppo, che gli sponsor privati si muovono più volentieri per sostenere attività più popolari quali quelle sportive, etc., e che anche alcuni sponsor istituzionali non sono così attenti ai risultati artistici e scientifici di una manifestazione, favorendo iniziative più semplici ma note, con il risultato che tutto ciò che è di vero interesse culturale resta penalizzato.

5)      Il sostegno del Comune non dovrebbe limitarsi alla concessione di un contributo economico. E’ opportuno che l’Assessorato partecipi e suggerisca nella fase di programmazione così come segua la realizzazione per avere una precisa idea dell’attività. Dal confronto possono nascere  idee e progetti migliori per il futuro e indirizzi più precisi.

6)      Senza nulla togliere alla autonomia di ogni iniziativa è indubitabile che il coordinamento e la collaborazione fra organizzazioni di campi diversi o simili, quello che nel documento è chiamato “associazione temporanea di impresa” non può che migliorare l’offerta culturale e ottimizzare i costi. Dovranno essere incentivati tutti gli sforzi in questo senso.

7)      Oggi è assolutamente indispensabile far conoscere le iniziative culturali della città. In un mondo informatizzato in cui la visibilità è indispensabile per superare la “massa critica” in cui tutte le isolate attività si impantanano nel “rumore di fondo” di internet, ci deve essere un contenitore generale in cui le iniziative della città vengano giustamente presentate. Penso ad un sito apposito in cui siano ospitate tutte le realtà che dal Comune sono sostenute.

 

Sperando che questo mio contributo possa essere un utile strumento di confronto, La saluto e Le auguro ogni fortuna in questa impresa

 

Mario Ancillotti

Direttore Artistico Ensemble Nuovo Contrappunto

 

Firenze, 6 ottobre 2009